mercoledì 27 marzo 2013

Un Ballo in Maschera - Maratona Verdi 2013 - X

Una commedia con lati oscuri
"il più melodrammatico dei melodrammi"



Così la descrive Budden. 
E così D'Annunzio.


Parliamo di Un Ballo in Marschera! 
E stavolta scrivo con largo anticipo, perché - come sanno coloro che mi conoscono - a me non piace arrivare in ritardo. 


Drammatis Personae
qui c'è da fare un'annotazione: in corsivo scriverò i nomi secondo l'ambinetazione di Boston, mentre rimarranno "normali" quelli per quella svedese.

Gustavo III, Riccardo conte di Warwick - tenore 
Amelia, moglie di Anckarstroem - soprano
Anckarstroem, Renato, segretario del Re - baritono
Oscar, paggio del Re - soprano
Conte Ribbing, Samuel(e), nemico del Re - basso
Conte Horn, Tom(maso), nemico del Re - basso
Cristian, Silvano, marinaio - baritono
Mlle Arvidson, Ulrica, zingara - contralto
Un giudice - tenore
Un servo di Amelia - tenore
Popolani, gentiluomini

Durata circa 2 ore e 10 min. 
La prima rappresentazione si tenne a Roma al Teatro Apollo il 17 febbraio 1859.




Storia, caratteristiche e soggetto
Definita come la migliore opera di questo periodo, ovvero quello intermedio, in un equilibrio perfetto tra elementi d'ironia e quelli tragici e romantici.

La prima versione del libretto mutilato
Antonio Somma che era un letterato insigne, ma un librettista di fatto inesperto, apre a Verdi la possibilità, da lui tanto amata di essere presente e decisamente determinante nella stesura del testo. A differenza di Piave, che si sobbarcava settimane di lavoro in cambio dell'ospitalità a S.Agata e della cucina della Strepponi, Somma vuole restare a Venezia, evento che favorisce una fitta corrispondenza oggi preziosissima per lo studioso. Lo stile di Somma è platealmente manzoniano: non per questo, con le aggiustatine di Verdi, i versi riescono mediocri, anche se, nauseato dalle vicende censorie, rinuncerà a far apparire il proprio nome sotto il libretto, la cui paternità sulle prime fu attribuita dall'opinione pubblica a Piave, ormai diventato un'antonomasia del verso sciatto. Per il resto, questo libretto fu insultato per tutto l'800 fino alla riabilitazione critica ad opera di Francesco Flora nel 1952, caduti i pregiudizi in voga durante il periodo verista prima e carducciano poi sulla poesia teatrale di mezzo Ottocento; del lavoro di Somma si è allora cominciata a vedere la funzionalità non letteraria in sé e per sé ma in relazione alla drammaturgia, strettamente legata alla visione verdiana dell'opera in musica come maturava in quegli anni. Il ritmo e i tempi della versificazione erano stati studiatamente curati da Somma e Verdi in funzione della musica: una rivalutazione sotto questa luce del libretto del Ballo ha invertito addirittura negli ultimi anni i giudizi, restituendolo, forse con eccesso di entusiasmo, a capolavoro del genere. 
L'opera è in tre atti e fu scritta per il teatro di Napoli nel 1858; mentre erano in corso le prove però, il noto rivoluzionario italiano, Felice Orsini, attentò senza successo alla vita di Napoleone III e questo fece sì che non si potessero più mettere in scena opere che comprendessero l'assassinio di un Re. Già a metà novembre, la censura napoletana, ne richiese la modifica del luogo, la Svezia, e dello status del protagonista, declassato perciò a conte. Verdi però rifiutò di trasportare la vicenda nel XII secolo, periodo inconciliabile con l’indole di personaggi ironici e raffinati come il paggio Oscar e lo stesso protagonista. Fu tanta la censura dopo l'Orsini che al compositore fu proposto di musicare: Adelia degli Adimari, ambientata nella Firenze del XIV secolo, che doveva essere la sua amata opera. L'opera venne ritirata malgrado tutte le proteste - sotto peraltro il famoso motto "Viva V.E.R.D.I." (di cui non sto a ripetervi il significato per non darvi noia). Ricordi la vuole per La Scala di Milano. Però, fortunatamente, a Roma era in scena una commedia di Gherardi del Testa sul soggetto del Gustave III. Anche qui vennero eseguite alcune modifiche a causa della censura, ma erano accettabili quindi si andò in scena. In teatro ci furono una trentina di chiamate di cui una ventina per Verdi, applausi a scena aperta per tenore e baritono, coriandolini, fiori e serenate sotto la casa del maestro, un rituale non nuovo per Verdi; fallirono invece le parti femminili. La critica, invece, in cerca di rinnovamento, pensò che l'opera fosse troppo convenzionale - il libretto fu ritenuto ai limiti dell’assurdo per alcune espressioni e situazioni, privo di energia e con personaggi dal carattere scarsamente delineato. 

Il soggetto è stato scelto alla fine di un intenso lavoro di ricerca. Musicato già da Auber come Gustave III ou Le Bal masqué (Parigi 1833) e scritto quindici anni prima da Eugène Scribe per le scene francesi, fu riadattato e tradotto da Cammarano per Mercadante ed intitolato Il reggente (Torino 1843). 

Trama
(Atto primo) Riccardo ha organizzato per l’indomani una sontuosa festa in maschera con un ballo. Solo nelle sue stanze, scorre con trepidazione la lista degli invitati: Amelia, della quale è segretamente innamorato, non mancherà (“La rivedrà nell’estasi”). Mentre medita, combattuto tra l’amore e il timore di essere scoperto, sopraggiunge Renato. Riccardo trasale, ma l’amico vuole solo informarlo di una congiura ordita da Samuel e Tom (“Alla vita che t’arride”). Intanto, tra le sentenze da firmare, giunge un ordine di esilio per Ulrica, della quale Oscar non esita a decantare i prodigiosi poteri (“Volta la terrea fronte”). Riccardo, divertito ed eccitato, decide di recarsi con i suoi più fidi cortigiani sotto mentite spoglie a visitare l’indovina (“Ogni cura si doni al diletto”). Davanti all’antro di Ulrica la gente si raduna per udire le sue profezie (“Re dell’abisso, affrettati”). Riccardo, travestito da pescatore, si cela tra la folla. Silvano si lamenta con l’indovina di non avere mai ricevuto dal conte una ricompensa per i suoi servigi. Ulrica gli rivela che presto otterrà del denaro e un titolo: subito Riccardo, che vuole accreditare l’indovina, infila di nascosto quanto richiesto nelle tasche del suddito suscitando l’entusiasmo dei presenti. Giunge un uomo, che il conte riconosce come un servo di Amelia: la donna chiede un colloquio privato a Ulrica. Tutti si allontanano ma Riccardo, approfittando della confusione, si nasconde. Giunge Amelia, inquieta; chiede un rimedio per liberarsi da una passione illecita che la divora. Mentre Riccardo esulta, certo di essere amato, Ulrica consiglia ad Amelia di recarsi nottetempo presso il campo ove si eseguono le sentenze capitali: lì trovera un’erba che fa al caso suo (“Della città all’occaso”). Sopraggiungono gli amici del conte travestiti; tra loro sono anche Samuel e Tom, i cospiratori. Riccardo porge subito la mano a Ulrica (“Di’ tu se fedele”) ma l’indovina, dopo averla guardata, distoglie lo sguardo da lui, turbata. Il conte insiste e alla fine Ulrica cede, ma le sue parole gelano il sangue ai presenti: Riccardo morrà presto, non sul campo di battaglia ma per mano di un amico, di colui che per primo gli stringerà la mano (“È scherzo od è follia”). Il conte, per metà incredulo e per metà divertito, tra l’orrore dei presenti, sfida la terribile profezia offrendo a ognuno la sua mano. Solo Renato, sopraggiunto in quel momento, accetta di stringerla. A quel gesto tutti hanno un respiro di sollievo, mentre Samuel e Tom restano delusi: Renato è il più caro e devoto amico del conte, come credere a questo punto all’indovina? Riccardo si rivolge trionfante a Ulrica, che ha ormai riconosciuto in lui il conte, e se ne prende gioco: come credere a un’indovina che non ha riconosciuto subito il suo signore e che nulla sembra sapere di un ordine scritto di esilio che pende sulla sua testa? Mentre Riccardo, di ottimo umore, ricompensa ugualmente Ulrica, giunge Silvano attorniato dal popolo; ha riconosciuto nel marinaio il conte e vuole ringraziarlo dei doni ricevuti. Mentre tutti esultano solo l’indovina rimane turbata nella sua terribile certezza (“O figlio d’Inghilterra”). (Atto secondo) È notte. In preda all’angoscia, Amelia si aggira nel campo delle sentenze in cerca dell’erba di cui Ulrica le ha parlato (“Ma dall’arido stelo divulsa”), ma non è sola: Riccardo è giunto, desideroso solo di manifestarle il suo amore. La donna si schermisce e si tormenta: ama colui per il quale suo marito darebbe la vita, ma Riccardo insiste (“Non sai tu che se l’anima mia”) e alla fine Amelia cede ai sentimenti. Mentre gli amanti si abbandonano l’uno nelle braccia dell’altro (“Oh, qual soave brivido”) sopraggiunge Renato. Amelia, in preda all’agitazione più viva, si nasconde sotto un velo. Renato è in allarme: Samuel e Tom stanno ordendo l’ennesima congiura ai danni del conte; occorre partire. Riccardo non perde il suo sangue freddo: ordina a Renato di scortare la donna velata alle porte della città rispettando il suo anonimato e si allontana. Giungono i cospiratori. Irritati dal fallimento vogliono almeno scoprire l’identità della misteriosa donna velata. Inutilmente Renato ne difende a spada tratta l’anonimato: al culmine della concitazione il velo cade dal volto di Amelia rivelando a tutti la realtà (“Ve’, se di notte qui colla sposa”). Odio e vergogna opprimono l’animo di Renato che, desideroso di vendicarsi, convoca per l’indomani Samuel e Tom. Poi, con la morte nel cuore, l’uomo assolve l’ingrata richiesta dell’amico e si allontana con la moglie. (Atto terzo) Dopo un drammatico confronto con Amelia, Renato la condanna a morte ma le concede di rivedere per l’ultima volta il figlio (“Morrò, ma prima in grazia”). Rimasto solo, fissa con crescente emozione il ritratto del conte: no, non Amelia morrà ma Riccardo stesso (“Eri tu che macchiavi quell’anima”). Giungono Samuel e Tom; Renato si dichiara disposto a unirsi alla loro congiura. I due esitano, ma quando l’uomo offre la vita del figlio in pegno si convincono della sua buona fede. Ma chi ucciderà Riccardo? Tutti e tre hanno ottime ragioni per farlo. Quando Amelia rientra, Renato ha un’idea: sarà lei a estrarre il nome dell’assassino. La sorte designa Renato, che esulta. Sopraggiunge Oscar con l’invito al ballo in maschera, che Riccardo ha organizzato per la sera stessa. Renato propone ai congiurati di approfittare dell’occasione: la maschera renderà più facile la vendetta. Amelia, che ha ormai compreso, medita sul modo per salvare il conte. Intanto, nel suo gabinetto privato, Riccardo ha deciso: Renato ripartirà per l’Inghilterra ed egli non rivedrà mai più Amelia. Presagi funesti si mescolano al desiderio di rivederla un’ultima volta (“Ma se m’è forza perderti”). Giunge Oscar con una lettera di una donna che avverte il conte del complotto, ma Riccardo ha un solo desiderio: rivedere un’ultima volta Amelia (“Sì, rivederti Amelia”). Durante il ballo, Renato apprende da Oscar sotto quale maschera si cela il conte (“Saper vorreste”). Intanto Riccardo ha un colloquio con l’autrice della lettera, nella quale non tarda a riconoscere Amelia. I due, pur decidendo di lasciarsi per sempre, si dichiarano il loro amore (“T’amo, sì, t’amo, e in lagrime”) ma ormai è tardi: Riccardo cade, colpito a morte da Renato. Tra l’orrore dei presenti l’omicida è smascherato. Mentre Renato sente crescere dentro di sé la commozione e il rimorso, Riccardo gli si rivolge: Amelia è pura ed egli intendeva rinunciare per sempre a lei (“Ella è pura: in braccio a morte”); poi, perdonato l’amico di un tempo, il conte spira.
I
Curiosità ed approfondimenti

Il vero Re di Svezia, Gustavo III, amava l'arte ed era liberale dal punto di vista politico, era sposato anche se omosessuale anche se il ritratto che ne fa il compositore è molto convenzionale. 
Le influenze dell’opera francese sono molto forti.

Notevole, l’impiego di motivi conduttori: ad esempio, il tema di Samuel(e) e Tom(maso), in staccato, la preghiera di Amelia, enunciata nel terzetto con Ulrica e Riccardo e riproposta nel preludio al secondo atto e naturalmente il motivo dell’amore di Riccardo per Amelia. 
Come già aveva fatto da Rigoletto in poi, e come già facevano Donizetti e Mercadante negli ultimi tempi, Verdi tende a eliminare nel Ballo in maschera melismi e ornamentazioni, riducendo l'agilità e avvicinando, in ordine alle proprie concezioni del teatro, la parola cantata a quella parlata. Inoltre i tre personaggi principali sono ispezionati psicologicamente e necessitano di cantanti espressivi, duttili e recitanti: una recitazione artificiosa può trasformare quest'opera da autentico dramma a parodia di se stessa. Fra le voci secondarie, l'unica a mantenere qualche carattere del belcanto tradizionale è Oscar, l'alter ego spensierato di Riccardo, soprano leggero e brillante con fioriture (e caso raro di soprano per una parte en travesti, e ancora Mercadante nel "Reggente" aveva usato il contralto). Ulrica ha estensione da contralto (Sol2-Lab4), priva di melismi eccetto qualche passo di È lui è lui.
La maturazione del linguaggio melodrammatico portò Verdi all’uso di armonie raffinate, orientate in senso coloristico (si pensi alle pagine di Ulrica o allo splendido preludio al secondo atto), all’aggiornamento di talune formule del repertorio tradizionale (soprattutto nel duetto tra Riccardo e Amelia nel secondo atto) e all’approfondimento drammatico del monologo (quello di Amelia al principio del secondo atto e soprattutto quello di Renato all’inizio del successivo), che perde rigidità formale e acquista una notevole flessibilità di scrittura: dal declamato melodico all’arioso, all’aria, all’impiego in senso espressivo delle pause e del fraseggio.
Nel corso dell’Ottocento l’opera divenne una delle più amate e rappresentate di Verdi, nonostante due caratteristiche in genere inconciliabili con le possibilità dei teatri minori: la presenza di ben cinque personaggi importanti in scena e la necessità di reperire tre voci femminili (Amelia, Oscar e Ulrica) tutte tecnicamente dotate e di diverso carattere. Al contrario, dagli anni Venti del Novecento, si è giovata meno di altre della cosiddetta Verdi Renaissance poiché lo stile eterogeneo di cui si è detto ha fatto pensare, a torto, a superficialità e a scarso approfondimento psicologico. Più di recente, si è riconosciuto a quest’opera il merito di avere espresso una riuscita sintesi tra esigenze di equilibri formali e nuovi elementi stilistici, e la si è giustamente collocata tra i capolavori della maturità di Verdi.



Riccardo
Il tenore del Ballo è piegato finalmente, come Verdi aveva già incominciato a fare con le parti baritonali, a inflessioni e sfumature psicologiche, che per la voce di tenore erano respinte dalle tradizioni belcantistiche, cui erano riservate parti giovanili baldanzose e tecnicamente poco lavorabili perché spesso impegnate in falsettoni e zone sovracute. L'estensione di Riccardo va dal Do2 al Sib3, ma la tessitura è quasi sempre bassa tranne nel quintetto del primo atto, con incursioni ripetute al Lab3; la parte non richiede quindi un tenore con registro superiore sviluppato, in accordo qui con la scelta del protagonista della prima del 1859, Gaetano Fraschini. In compenso però i tenori di forza trovano enormi difficoltà a rendere la complessità psicologica del personaggio, che richiede assolutamente leggerezza, mezzevoci, pulizia negli abbellimenti e nelle acciaccature, inflessioni espressive variatissime dalla veemenza alla dolcezza sommessa. Si noti la necessità di interpretare, per il cantante, momenti di psicologia come È scherzo od è follia, ove si passa dallo sconcerto all'esorcizzazione della morte, le sfumature psicologiche dell'amore, o tutta la parabola degli ultimi due quadri del terzo atto. Va infine notato che Riccardo ha una naturale propensione a giocare con il pericolo: lo fa all'inizio con Renato, nello scambio di battute sull'angoscia che lo opprime, poi andando nell'antro di Ulrica, poi ancora indugiando nel secondo atto quando incombe l'arrivo dei congiurati, infine impipandosene dell'avviso di lasciar perdere il ballo mascherato.

Renato
Si tratta del baritono verdiano che già conosciamo dai tempi di Germont: un baritono cantante, con elevazioni liriche a registri quasi tenorili. Si potrebbe anche vedere in lui la figura centrale della vicenda, nella sua colorazione psicologica, nelle manifestazioni estreme della personalità, nella posizione cardinale che occupa nell'evoluzione della vicenda, ed è in Renato che si materializzano e si esprimono le lacerazioni fra bene pubblico e felicità privata. A questo baritono sono affidati due momenti fra i più alti dell'opera, il cantabile Alla vita che t'arride e l'aria Eri tu che macchiavi: in quest'ultima si avverte lo sconvolgimento psicologico principale che lo attraversa da quando, svilito bestialmente dall'onta delle corna (Ei m'ha la donna contaminato! canta nel finale del secondo atto), passa dalla volontà di vendetta sulla moglie alla pietà per questa, che gli ha appena implorato di rivedere il figlio prima di morire, e alla decisione di riversare l'aggressività verso Riccardo: come, per un nobile sentimento di pietà, il destino fa il suo lavoro! Quest'aria, giustamente celebre quanto difficilissima nell'interpretazione, affianca ai drammatici squilli del recitativo le mezzevoci e i gruppetti acuti del canto, intessuti a nostalgici abbandoni. Renato ha, in alcuni momenti dell'opera, momenti difficili: note ribattute in zona acuta e alcuni attacchi scoperti (in Sol3).

Amelia
Il modello del soprano che canta la parte di Amelia è la celeberrima Marie Cornélie Falcon, vedette del Grand-Opéra parigino, eponima di un tipo sopranile (alla "Falcon" appunto) con centri sicuri e robusti ma capace di svettare in zone elevate, fino al Do5; di fatto la Falcon era un mezzosoprano chiamata talora per spettacolarità a registri sopranili. I tecnici della vocalità dicono che con Amelia Verdi passa definitivamente dal soprano drammatico d'agilità (Abigaille, Eleonora) al soprano drammatico "di forza" (come poi Elisabetta nel Don Carlos e di fatto come la wagneriana Isolde). Amelia alterna perciò momenti quasi da mezzosoprano a pure melodie sopranili: nel primo caso in Ma dell'arido stelo, il terzetto Odi tu come fremono cupi (atto II), l'aria Morrò, ma prima in grazia (atto III); nel secondo il duetto d'amore del II atto e la scena della congiura.
QR del libretto

Libretto in formato web e pdf.

Spartito, parti e partitura qui.  




Discografia
1956 Giuseppe Di Stefano, Maria Callas, Tito Gobbi, Fedora Barbieri, Eugenia Ratti - Antonino Votto 
1960 Carlo Bergonzi, Birgit Nilsson, Cornell MacNeil, Giulietta Simionato, Sylvia Stahlman - Georg Solti 
1966 Carlo Bergonzi, Leontyne Price, Robert Merrill, Shirley Verrett, Reri Grist - Erich Leinsdorf
1970 Luciano Pavarotti, Renata Tebaldi, Sherrill Milnes, Regina Resnik, Helen Donath - Bruno Bartoletti 
1979 José Carreras, Montserrat Caballé, Ingvar Wixell, Patricia Payne, Sona Ghazarian - Colin Davis 
1980 Luciano Pavarotti, Margaret Price, Renato Bruson, Christa Ludwig, Kathleen Battle - Georg Solti 
1998 Placido Domingo, Katia Ricciarelli, Renato Bruson, Elena Obraztsova, Edita Gruberova - Claudio Abbado
2006 Massimiliano Pisapia, Chiara Taigi, Franco Vassallo, Anna Maria Chiuri, Eunyee You - Riccardo Chailly



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