giovedì 21 febbraio 2013

qui, nei pressi....

Notizie dal web!


Opera e Classica
Boheme - Teatro La Fenice (Venezia) - di MTG Lirica
Barbiere di Siviglia - Teatro Comunale Pavarotti (Modena) - di Irene Sala - Corriere Musicale
Nabucco "diretta Rai5" - Teatro alla Scala (Milano) - di Ninalapazza 
Download di Lohengrin - di Download Classica
Cibo e vino
Il vino dei Centopassi - di Simo diVino
Le Kremsnite e , come sempre, un po' di storia... - di Daniela - MT (menùturistico)
Graves AOC, Mayne Du Cros 2007, Chateau du Cros - di Daniele Tincati - Profumi di Vino


Varie e Attualità
Impariamo ad ascoltare - di G.B. Mancini - Corriere della GrisiLe elezioni si vincono su FB? - di Il Mugugno

Libri
Oriana - L'apprendista libraioPer un pugno di libri - di Appunti di uno scrittore





BOHEME, GIACOMO PUCCINI – GRAN TEATRO LA FENICE, DOMENICA 17 FEBBRAIO 2013, ORE 15,30


Quanto è vicina a noi oggigiorno questa straordinaria opera di Giacomo Puccini: giovani in difficoltà che non sanno come sbarcare il lunario. Oggi come allora c’è soltanto una cosa che neanche la povertà può sconfiggere, e si tratta certamente della capacità di sognare e di coltivare le proprie passioni. Così nella fredda Parigi dell’Ottocento, luogo di ‘sogni e di chimere’, un poeta, un pittore, un filosofo ed un musicista sopravvivono alla giornata per quanto sia possibile, aiutandosi a vicenda e condividendo una grande amicizia, finché anche l’amore non giunge inaspettatamente a complicare le cose, con la dolcezza e l’ingenuità della piccola ricamatrice di fiori che non vive a lungo per vedere realizzati i suoi sogni.

E ci immergiamo subito in queste atmosfere, come se questi personaggi fossero in ognuno di noi: sin dall’inizio i nostri giovani hanno l’esigenza impellente di scaldarsi nella fredda soffitta nell’inverno parigino, luogo ove tutto inizia e tutto si conclude..
Grazie anche al bellissimo allestimento curato dal regista Francesco Micheli, con scene diEdoardo Sanchi, lo spettacolo offerto dal Teatro La Fenice è del tutto godibile, fresco, vivace, senza un attimo di tregua. Dalla soffitta ben allestita con poltrone, stufetta ed un lettino, il tutto circondato da una cornice luminosa che riprende i profili dei monumenti parigini. Si passa poi al caffè Momus, rappresentato con dei coloratissimi pannelli, con il coro che vi giunge da una metropolitana rappresentata sul palco con tanto di passanti con ombrelli aperti al piano sovrastante. La neve scende copiosa nel terzo quadro, per la scena della Barriera d'Enfer, per poi ritornare nella soffitta al termine. In pieno accordo con il resto i costumi di Silvia Aymonino, molto colorati per le ‘amiche’ di Musetta, e piuttosto classici per il cast principale. Simpatico il costume rosso con orecchie da topo per il personaggio di Parpignol. Insomma uno spettacolo in piena regola ove i cantanti sono stati impegnati anche dal punto di vista attoriale e addirittura nella danza.


Ed i nostri amici bohémien sono sembrati davvero affiatati sul palco, per un risultato godibilissimo. La dolcissima Mimì è stata ancora una volta la straordinaria Maria Agresta. Quando un ruolo è ben collaudato e la professionalità si unisce ad una voce incantevole, il risultato è una interpretazione straordinaria. Il soprano ci ha offerto una Mimì matura, consapevole, credibile. Il timbro ben noto è corposo ma in grado di emettere degli acuti leggerissimi da far restare col fiato sospeso. Massimiliano Pisapia è il poeta Rodolfo. Non una delle sue migliori serate in quanto a resa canora, molto bene invece dal punto di vista dell’interpretazione, mostrando di saperci fare sulla scena e di essere ben affiatato con i suoi giovani amici, nonché col personaggio di Mimì, con cui i duetti sono stati molto apprezzati.

Ancora una prova convincente del baritono Simone Piazzola, alias il pittore Marcello. Questo giovane baritono è in grado di calarsi completamente in qualunque ruolo gli sia proposto, sempre con grande personalità, utilizzando la sua voce piena, calda, e sicura nell’emissione. Schaunard è stato un veramente simpatico e brillante Armando Gabba, anche dal punto di vista vocale, mentre chiude il gruppo degli amici Colline, interpretato da Sergey Artamonov. La voce non è ancora profondamente bassa e negli appoggi non sembra sicura, si esprime meglio nel registro più baritonale. Ci è piaciuta la Musetta di Ekaterina Bakanova. Simpatica, spigliata, molto femminile e dotata di una voce tagliente che si adatta al personaggio. Simpatico come detto prima Cosimo D’Adamo nel ruolo di Parpignol, nonché credibile e spiritoso il Benoit di Matteo Ferrara.
Chiudono il cast Andrea Snarski, Alcindoro, il venditore ambulante di Bo Schunnesson, il sergente dei doganieri, Salvatore Giacalone, ed il doganiere, Julio Cesar Bertollo, tuttiveramente bravi e ben calati nei loro piccoli ruoli. Buona prova sia del coro della Fenice diClaudio Marino Moretti che dei Piccoli Cantori Veneziani di Diana D'Alessio, qui coinvolti anche in simpatiche coreografie.

Infine la direzione orchestrale è affidata al Maestro Diego Matheuz. Purtroppo in più punti la musica ha completamente sovrastato le voci degli interpreti, mancando di quei dettagli e sfumature che avrebbero sottolineato la drammaticità o delicatezza di cui l’opera è copiosa, rendendo piuttosto monotono il risultato globale.
Grandi applausi per tutti gli interpreti, pubblico soddisfatto per aver assistito ad uno spettacolo ben allestito ed altrettanto ben riuscito.


LA PRODUZIONE
Maestro concertatore Diego Matheuz
e direttore
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Fabio Barettin
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Maestro del coro di voci bianche Diana D'Alessio

GLI INTERPRETI
Rodolfo Massimiliano Pisapia
Marcello Simone Piazzola
Schaunard Armando Gabba
Colline Sergey Artamonov
Benoit Matteo Ferrara
Alcindoro Andrea Snarski
Mimi' Maria Agresta
Musetta Ekaterina Bakanova
Parpignol Cosimo D’Adamo
Un venditore ambulante Bo Schunnesson
Un sergente dei doganieri Salvatore Giacalone
Un doganiere Julio Cesar Bertollo
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO LA FENICE
Piccoli Cantori Veneziani
Con sopratitoli
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice






Barbiere al Comunale Pavarotti di Modena


Opera •Vivace e convincente lettura rossiniana del regista Damiano Michieletto in scena a Modena. La freschezza del giovane cast vivifica la produzione emiliana, a tratti acerba la direzione di Francesco Angelico.

Forte del successo reggiano, “viaggia” fino a Modena il Barbiere di Siviglia targato Damiano Michieletto e prodotto a quattro mani dalle due città emiliane, fermandosi venerdì 15 (prima) e domenica 17 febbraio al Teatro Comunale Pavarotti. Lo spettacolo, come spesso accade per le rivisitazioni delle opere liriche in chiave moderna, spacca letteralmente a metà l’opinione del pubblico; ma dei fischi iniziali, sciolti presto in un sorriso, alla fine dell’atto I non rimane che un ricordo. Questo Barbiere, un po’ cheap and chic, un po’ “bisogna fare il massimo con il minimo” (oggi molto in voga), gode però di trovate accattivanti e originali, quali l’opera come metafora del viaggio (in treno!) in cui i personaggi vengono trascinati e travolti dall’incedere del ritmo incalzante della musica di Rossini, o come l’uso del colore e delle luci come guida visiva nelle diverse situazioni. Gode, inoltre, della freschezza dei giovani interpreti (solisti, orchestra e coro) dal marchio di fabbrica “Accademia del Teatro alla Scala”.

La difficoltà è dare forma a questo “non luogo” in cui si colloca la vicenda, svegliare l’immaginario del pubblico: i cantanti sono chiamati ad usare tutta la loro vena attoriale e teatrale, giocando con i pochi elementi sul palco. Sedie e ombrelli rossi muovono i volumi (aprono, chiudono, alzano, abbassano, proteggono, minacciano, uniscono, separano), la scala blu diventa meta di dichiarazioni d’amore e serenate sotto la stanza di Rosina, la bottega di Figaro viene disegnata in scena con le bombolette come un murales su un telo giallo (lo stesso giallo dei “bavagli” messi al collo dei vari clienti del barbiere, pronti per la rasatura), cuscini gialli e palloni bianchi volano e impazzano sul palco. Nello scorrere dell’intreccio non sempre tutti gli elementi si legano alla perfezione cogliendo nel segno, ma l’insieme risulta comunque divertente e convincente


Asciutti e precisi i gesti con cui il direttore Francesco Angelico guida i cantanti e l’orchestra, che restituiscono la musicalità frizzante dell’opera buffa pur svelando a volte un’interpretazione un poco acerba. Rispetto a Reggio Emilia cambia il ruolo di Rosina, sostenuto da José Maria Lo Monaco che sostituisce, cavandosela bene, l’indisposta Natalia Gavrilan. Confermato il resto del cast: il simpatico Figaro è Christian Senn, il fiero conte d’Almaviva è Enrico Iviglia, il grasso e vecchio Bartolo è Filippo Polinelli, l’infido Basilio è Simon Lim, la smaliziata Berta è Na Hyun Yeo e Fiorello/Un ufficiale è Davide Pelissero.
I costumi, realizzati da Carla Teti, caratterizzano il lato più triviale e schietto della personalità dei personaggi (Don Basilio è una verde “serpe” in carne ed ossa, Figaro ha un che di circense). Le luci di Alessandro Carletti sono usate in modo moderno ed efficace, come nel II atto quando all’ “alto là!” segue il pugno dato dal conte a Bartolo come se fosse “alla moviola”, ben reso dall’effetto a luce pulsante stroboscopica. Sul finire dell’opera i grossi palloni bianchi dal palco piombano a sorpresa in platea, svelando che anche il pubblico è stato fino a quel momento non spettatore bensì partecipe di quello strambo “viaggio”.

di Irene Sala - Il Corriere Musicale













Nabucco desde la Scala


El pasado 13 de febrero podía verse en los cines la nueva producción de Nabucco que la Scala de Milán ha puesto en pie en este año del bicentenario. De forma paralela, también se emitía a través de la cadena televisiva Rai5. Es esa grabación la que ahora he tenido oportunidad de ver, gracias a las habituales almas caritativas. Anteriormente, se pudo escuchar la función de estreno por radio: una velada mediocre en la que hasta una cantante tan prometedora e interesante como Lyudmila Monastyrska decepcionaba. La recogida en vídeo ha mejorado algo la opinión que tenía sobre esta nueva Abigaille. En cuanto al resto del reparto, es conocido que no soy partidaria de Nucci y que su afición por los bises ha conseguido que me cueste trabajo tomármelo en serio. Que sea un viejo zorro de la escena y sepa qué recursos emplear es otra historia. Como en la función que pude escuchar por radio, tal vez lo que me pareció más convincente es la Fenena de Simeoni. Luisotti consiguió llevar la nave a puerto, pero sin aportar gran cosa a la función. En la noche del estreno sufrió alguna que otra protesta pronto acallada. El vídeo entero puede verse en Youtube, si bien con un sonido deficiente que parece ser de origen. La puesta en escena de Daniele Abbado no destaca por nada, salvo por su feismo, su escasa teatralidad y su flagrante falta de originalidad. Sí, otra vez un Nabucco situado en los años cuarenta. Podrá verse también en Londres, donde Domingo añadirá Nabucco a su lista de papeles como tenorítono. Allí también le acompañará Monastyrska. En suma, una función condenada al pronto olvido que no hace honor al aniversario que este año se celebra.



Sarò felice di tradurla e mandarla via mail a chiunque ne faccia richiesta: lacrisigenovese@gmail.com






PLACIDO RIZZOTTO ROSSO 2011 - Sicilia I.G.T. - Centopassi


Questo é un vino ricavato da vigne coltivate su una terra (finalmente) libera, é un vino figlio del coraggio e della lotta... é un vino che resiste alle intimidazioni... é un vino per cui nutro rispetto.



Scrivo con molto piacere di questo vino che ho avuto modo di bere svariate volte in passato e che oggi "ri-bevo" grazie alla boccia regalatami dal buon Chicco. Mai come in questo caso però, parlare esclusivamente del bevuto risulta riduttivo, perché il Rosso in questione é il Placido Rizzotto della Cantina Centopassi, azienda vitivinicola associata a Libera Terra. Un progetto significativo, che mette in relazione terra e legalità... riappropriarsi dei terreni confiscati alla mafia per dargli nuova vita... guardare al futuro ripartendo dalle radici, ovvero la propria terra, per anni rubata dalle mafie alla sua gente e ridargli dignità. 


Siamo ovviamente in Sicilia e la realtà Centopassi (per chi non lo sapesse, il nome deriva dal numero dei passi che separavano la casa di Peppino Impastato e il boss mafioso Tano Badalamenti, in quel di Cinisi), fonde il lavoro di 3 cooperative sociali, situate nel corleonese, che, lavorando a regime biologico, sono riusciti a recuperare i terreni (e le vigne) a loro assegnati, per un totale di 400ha coltivati, di cui 90 a vigneto. Tra vecchie vigne autoctone rivitalizzate (Grillo, Nero d'Avola, Catarratto, Perricone) e i classici internazionali Merlot, Syrah, Cabernet ecc... sono molteplici le tipologie di vini realizzati, che attualmente vengono commercializzati in 3 linee di prodotti... i cru, che comprende i vini qualitativamente più ricercati (e dalla bellissima veste grafica aggiungo io…), la linea Centopassi, dedicata soprattutto ai vini autoctoni e la linea Placido Rizzotto (il cui nome ricorda la memoria del sindacalista corleonese ucciso da Cosa Nostra, mentre lottava per l'assegnazione delle terre incolte ai contadini siciliani), costituita da vini I.G.T. realizzate attraverso mix di uve. 


Entrando nel dettaglio del Rosso in questione è realizzato con un mix di Syrah, Nero d’Avola e altre uve in percentuali variabili, che verrano poi riposte a maturate in vasche d'acciao.


Abbiamo quindi a che fare con un buon vino quotidiano o vino da pasto se preferite. Un vino di pronta beva, robusto ma al contempo fresco e snello, con una sua personalità e un buon carattere. A farsi notare oltre ad un rosso rubino profondo, è soprattutto una bella acidità che dona dinamicità e un buon frutto croccante, che con le sue note dolci (amarena e prugna) rende il vino più amabile e rotondo, stemperando la punta acido-alcolica (13%vol.) e un tannino ancora giovane.


Vino sicuramente "corto", ma è l’immediatezza il suo punto di forza. Tenendo conto del prezzo modico (intorno alle 6 euro) decisamente molto meglio rispetto a tanti insignificanti vini (anche siciliani) che vengono acquistati ogni giorno nei supermercati. Potete trovare i prodotti di Libera Terra direttamente dal sito, in molti negozietti equo-solidali e anche alla Coop, per fare un acquisto nel segno della legalità. 


Questo é un vino ricavato da vigne coltivate su una terra (finalmente) libera, é un vino figlio del coraggio e della lotta... é un vino che resiste alle intimidazioni... é un vino per cui nutro rispetto. Voto:7





Le Kremsnite e , come sempre, un po' di storia...


La storia delle Kremsnite pare che nasca qui, a Samobor, in questo che sembra il paese delle fate.
Oltre che per il carnevale (Fašnik), Samobor è conosciuta in tutto il Paese anche per le sue tradizionali e deliziose paste alla crema (kremšnite), gioia d’ogni vero buongustaio.Così ci presenta la delizia di crema il sito ufficiale della Croazia, che specifica anche che la differenza tra la versione particolare di questa cittadina e quella del resto del paese è che mentre a Samobor le Kremsnite vengono servite tiepide invece che fredde. Comunque a qualunque temperatura si assaggi, questa variazione sul tema della nostrana millefoglie, è veramente di una golosità indicibile per chi, come me, ama la crema pasticcera, tanto che quasi quasi mi piacerebbe partecipare alle "Giornate delle kremšnite" che si svolgono in paese e che prevedono perfino uno speciale inno, che non sono in grado di tradurre, ma che inneggia alle "fette di crema" nazionali.....
Le kremsnite (Cremeschnitte in tedesco, dal momento che è un dolce che gode di grande fortuna in tutta l'europa centrale) è legata anche alla città di Bled in Slovenia, che è la principale concorrente per ciò che riguarda la produzione di questa delizia: un celebre autore sloveno Milan Dekleva, poeta, prosatore, saggista e traduttore, redattore alla TV Slovena, dedica al dolce perfino un libro per bambini "A so kremšnite nevarne" (Sono pericolose le kremsnite) di successo.

Ci sono naturalmente altre varianti celebri, come quella di Zagabria che prevede l'utilizzo di una copertura in cioccolato, ma in ogni caso la cosa più romantica da sapere è che alle kremsnite è attribuita una particolare capacità: riesce a placare gli animi e a far riappacificare chi ha litigato o discusso con qualcuno....Direi che dovremmo produrne quantitativi industriali da regalare al mondo.....


P.S. Maria Chiara, che ringrazio, mi ha raccontato che questi dolci sono molto celebri anche dalle sue parti. Vi cito direttamente il suo commento:
"Per i triestini è un dolce molto familiare, tutte le pasticcerie e panetterie lo fanno. Vista la dimensione, di solito importanti, vengono chiamate "zavàte" (ciabatte) e anche "carsoline" per la provenienza, o semplicemente "pastecreme".
P.P.S. Bianca invece dal Canada, ma di originaria della Romania, ci fornisce il nome delle kremsnite nella sua lingua : Cremes o cremsnit a seconda delle città.

KREMSNITE

Ingredienti: per 20 porzioni 


2 (500 gr) fogli di pasta sfoglia 
200 g di amido di mais 
9 uova, separate 
12 cucchiai di zucchero 
2 cucchiaino di vaniglia 
2 cucchiai di rum
1 litro (4 tazze) di latte 
1 confezione di panna fresca da montare















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Graves AOC, Mayne Du Cros 2007, Chateau du Cros



Ci sono vini e tipologie di vino che non seguono le mode ma le fanno.
In Francia, nella zona di Bordeaux, anche i bianchi vengono da sempre affinati, se non anche fermentati, nelle botti di rovere da 225 litri.
In tutto il mondo si è cercato di copiarli o di riprodurne le caratteristiche e qualità, con risultati anche ottimi, ma non sempre, e sono diventati di moda per parecchio tempo.
Negli ultimi anni, l’uso del legno piccolo, soprattutto se nuovo, viene visto con sospetto, come se usarlo fosse un modo per camuffare o adulterare il gusto del vino.
Lasciando stare il fatto che possa piacere più o meno o per niente, varrebbe la pena assaggiare qualcosa di chi questo procedimento di vinificazione l’ha inventato, o per lo meno perfezionato e reso celebre.
Si, perché mi è capitato spesso di imbattermi in copie mal riuscite, tentate da chi ha seguito le mode senza avere alle spalle il bagaglio tecnico per poterlo fare.
Parliamoci chiaro, non basta buttare il vino in barrique perché diventi buono.
Così, quando mi capita qualche occasione non me la lascio sfuggire.
Non occorre svenarsi per stappare certe bottiglie, anzi, soprattutto se provengono da zone e produttori considerati minori.
Questo è prodotto dallo Chateau du Cros, che produce il Loupiac di cui ho parlato in passato.
Il colore è particolarmente brillante, un giallo paglierino con riflessi oro-verde.
Successivamente all’apertura, il colore si ispessisce, spostandosi sull’oro pieno.
Profumi iniziali di burro, lime, pompelmo, mentuccia e alloro.
Con l’ossigenazione, i profumi evolvono lentamente in note fruttate di ananas matura e albicocca, svelando un fondo minerale importante di salgemma e talco.
Bocca importante, intensa, con un’attacco sapido fin da subito.
Si allarga morbido, mantenendo una discreta tensione acida, supportata da imponente sapidità.
Una crosta di sale si stende sulla lingua, pizzicandola.
Abbastanza lungo e gradevole il finale, che sfuma su una delicata nota di crema di limone.
Un vino affascinante.





I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Sonia Ganassi in Elisabetta Regina d’Inghilterra.



Ascoltiamo il (nominale) mezzosoprano Sonia Ganassi, assidua frequentratrice delle parti Colbran in ossequio all’odierna vulgata secondo cui la voce della leggendaria primadonna sarebbe stata non di autentico soprano drammatico ma di mezzosoprano acuto, alle prese con il finale dell’Elisabetta rossiniana. Nel maestoso iniziale “Fellon la pena avrai” si deve esprimere mediante l’ampiezza di cavata, l’accento perentorio, nobile ed enfatico, e non ultima una sicura agilità di forza, la furia implacabile della regina nel condannare il traditore Norfolk, furia che non può tradursi in una espressione verista e scomposta data la natura regale del personaggio. Una voce di vero mezzosoprano dovrebbe essere perlomeno facilitata nel dare incisività alle frasi di tessitura più centrale: sentiamo qui invece una emissione ingolata in tutte le note della prima ottava (“la pena avrai”, “a tanto eccesso”), ingolamento dovuto alla ricerca artificiosa di un suono scuro e ingrossato, ricerca che si traduce solo in suoni caricaturali, affogati, ventriloqui, ed in una pronuncia goffa e poco comprensibile. In alto la voce si squaderna in suoni fischianti, schiacciati, sbiancati e sfilacciati, come il la naturale di “dove si vide MAI”, previsto anche nella successiva risposta “più scellerato COR” ma prudentemente omesso. Le progressioni di scale discendenti sulla ripetizione di “più scellerato cor” sono risolte con una maldestra presa di fiato intermedia, agilità priva di velocità e mordente, un si naturale bianco e sguaiato. Ancora agilità alleggerite e farfugliate, giammai di forza, sulle quartine di “un empio traditor”. Il ricorso ad una posticcia ed esteriore concitazione espressiva non basta a sopperire all’insufficienza dell’organizzazione vocale, priva di qualità sia in alto sia in basso, e ad una dimessa esecuzione delle figurazioni acrobatiche che non riesce a sfogarne la tensione virtuosistica (giacché il canto rossiniano nasce già diminuito, in funzione espressiva e non di mero edonistico abbellimento). Nell’andante centrale la regina perdona e libera i prigionieri e la condotta vocale deve esplicitare il contrasto affettivo con il maestoso iniziale. La cantante appare però parimenti impacciata anche nel canto di grazia, l’esecuzione di gruppetti e agilità venendo spianata anziché incrementata nella ripetizione del “bell’alme generose”. Dovendo la voce scendere compaiono suoni gutturali ed inopportune forzature poitriné che, unitamente all’incapacità di alleggerire i primi acuti, mal si addicono al carattere morbido e rappacificante di questo tenero andante. Si commenta da sé, nella transizione al rondò finale, la frase “ecco il duce il rendo a voi, rendo al trono il difensore”, in cui la cantante fa un caricaturale “vocione” sulle note centrali per poi schiacciare e sbiancare volgarmente l’acuto. Nel rondò ascoltiamo ancora agilità farfugliate, acuti piatti e sguaiati, privi di squillo e rotondità, imperizia nell’esecuzione delle scale di crome ascendenti, marchio di fabbrica della vocalità Colbran, che nella coda dopo la prima esposizione non vengono variate bensì semplificate e spianate.

di Giambattista Mancini dal Corriere della Grisi (di questo sito vi parleremo presto...)



Le elezioni si vincono su Facebook?


Prima di lanciare il sondaggione su Facebook su chi voterete mi sono girato un paio di pagine ufficiali dei partiti coinvolti alle elezioni 2013 e mi sono posto la seguente domanda:Facebook può essere usato come modello per crearestatistiche sui vincitori delle elezioni 2013?

Ho preso in considerazione i 3 grossi pretendenti:
Popolo della Libertà -> 32.000 mi piace su Facebook -> 33.000 follower su Twitter
Partito Democratico -> 74.000 mi piace su Facebook -> 36.000 follower su Twitter
Movimento Cinque Stelle -> 260.000 mi piace su Facebook -> 75.000 follower su Twitter

Che conclusione ne possiamo trarre? Non mi occupo dipolitica, anzi ne sono schifato dopo tante promesse non mantenute (a riguardo vi consiglio di visitare questo capolavoro bachecapolitica.it), sprechi e ladrate con i nostri soldi. Però preferisco non entrare in merito.

Analizziamo il lavoro fatto dai social marketers, innanzitutto stendiamo un velo pietoso sul numero di fans del “Popolo delle Libertà“, che, raffrontato ad alcune gelaterie che hanno più fans, credo sia però viziato dalla paura di alcuni utenti ad esporre pubblicamente il “mi piace” e, erroneamente, a passare per “fascisti”. Se Berlusconi fa parlare di sé in tv e in radio non riesce a farlo sui social, la strategia social del PDLè assolutamente da rivedere.

Al secondo posto abbiamo il nostro noiosissimo Bersani che, a naso, dovrebbe trovare un alto numero di consensi tra le persone più anziane che, usando in minor numero Facebook e i social networks, potrebbe viziare i dati. Inoltre in Italia essere di sinistra è meno disdicevole di essere di destra, questo potrebbe spingere gli utenti a premere “mi piace” con più scioltezza. Lo dimostrano anche i dati di Twitter, essendo molto meno sotto i riflettori la distanza tra i follower PDL da quelli PD è quasi irrilevante.

Al primo posto il Movimento Cinque Stelle che spopola clamorosamente, devo dire che a livello mediatico il macigno di Grillo indubbiamente pesa, è avvezzo al web, lo si vede dal suo blog personale, e sa come utilizzare e creare messaggi virali verso possibili elettori. Inoltre il target del partito si avvicina di più al popolo che utilizza i social network.

Se oggi si votasse con Facebook, o con Twitter, considerando i mi piace e i follower dei singoli partiti il Movimento Cinque Stelle spopolerebbe. Segniamoci questi dati e aspettiamo il giorno delle elezioni per trarne una conclusione, sono curioso di vedere cosa succederà, e voi?



Oriana Austen


Cliente: "Avete La rabbia e il pregiudizio?"

Io: "Ah ah! Di Oriana Austen?"

Cliente: "Eh?"

Io: "Scherzavo. Sta cercando La rabbia e l'orgoglio o Orgoglio e pregiudizio?"

Cliente: "Eh?"

Io: "Ehm, il titolo che mi ha chiesto non esiste, e sembra una fusione fra un libro di Oriana Fallaci e uno di Jane Austen. Bisogna vedere quale dei due voleva."

Cliente: "Eh?"




Per un pugno di libri (03/02/13)


Il peso falso (Das falsche Gewicht. Die Geschichte eines Eichmeisters, 1937) di Joseph Roth


Dopo dodici anni di servizio nell’esercito come sottoufficiale di carriera, l’ebreo Anselm Eibenschütz si congedò per assecondare la volontà della moglie e diventò il nuovo verificatore di pesi e di misure nel distretto di Zlotogrod, nella periferia occidentale dell’impero asburgico. Egli svolgeva il suo lavoro con grande zelo scatenando così nei negozianti una forte avversione, soprattutto in Jadlovker padrone dell’Osteria della Frontiera a Szvaby e dell’attigua bottega in cui oltre a prodotti alimentari vendeva uomini e ragazze e fabbricava pesi falsi. Ben presto Eibenschütz si accorse che la moglie lo tradiva con il suo scrivano e le sue visite all’osteria della Frontiera diventarono sempre più frequenti: non sopportava l’atmosfera gelida della sua casa e soprattutto voleva vedere Euphemia, la bella zingara amica di Jadlovker. Dopo l’arresto di quest’ultimo Eibenschütz diventò il nuovo amministratore della locanda e del negozio, perdendo di vista il suo dovere di verificatore e iniziando a bere smoderatamente dopo la fine della relazione con la zingara.



DORFLES CONSIGLIA


Notte fantastica (Phantastische Nacht, 1922) di Stefan Zweig


Denominatore comune dei quattro superbi racconti qui radunati è l'incontrollabile violenza delle passioni, cui Zweig ha saputo dar voce con rara efficacia: l'oscuro desiderio capace di impadronirsi – in una notte d'estate, quando l'afa allenta ogni difesa – di un'adolescente, che nella sua trance di sonnambula sembra rispecchiare i rapinosi effetti dell'eros; o la primitiva, sconsiderata fedeltà di una serva nei confronti del padrone – brillante signore della buona società viennese, tediato dal ménage coniugale e avido di nuove avventure –, una fedeltà che non arretrerebbe forse nemmeno di fronte all'omicidio; o ancora il delirio dell'uomo che stana una prostituta nel chiuso di un bordello e, notte dopo notte, la scongiura di seguirlo e abbandonare quella vita: e da lei, che aveva sposato pretendendone un'acquiescente gratitudine, riceve ormai solo scherno e insulti. Ma se alle oscure forze della passione possiamo soltanto soccombere, ancor più temibile e lancinante – sembra suggerire Zweig con il più lungo di questi racconti, Notte fantastica – è la sua assenza: sprofondato in una patologica apatia, l'algido barone Friedrich Michael von R. riuscirà ad affrancarsene solo in virtù di un evento fortuito e di un'azione indegna, che ridesteranno in lui la capacità di provare emozioni e, forse, persino veri sentimenti. 


La falsa scienza (2013) di Silvano Fuso
Radiazioni misteriose, extraterrestri, reperti archeologici rivoluzionari, dispositivi elettronici fantascientifici, macchine che controllano il clima e che fanno rivivere il passato... sono solo alcune delle scoperte e delle invenzioni che avrebbero potuto modificare radicalmente la nostra vita, se solo fossero state reali. Il libro analizza con rigore storico una serie di false scoperte scientifiche, immaginando cosa sarebbe successo se fossero state vere. Un viaggio insolito e intrigante all'interno della scienza che mostra aspetti poco noti della ricerca e dei ricercatori.

Pista nera (2013) di Antonio Manzini


Semisepolto in mezzo a una pista sciistica sopra Champoluc, in Val d'Aosta, viene rinvenuto un cadavere. Sul corpo è passato un cingolato in uso per spianare la neve, smembrandolo e rendendolo irriconoscibile. Poche tracce lì intorno per il vicequestore Rocco Schiavone da poco trasferito ad Aosta: briciole di tabacco, lembi di indumenti, resti organici di varia pezzatura e un macabro segno che non si è trattato di un incidente ma di un delitto. La vittima si chiama Leone Miccichè. È un catanese, di famiglia di imprenditori vinicoli, venuto tra le cime e i ghiacciai ad aprire una lussuosa attività turistica, insieme alla moglie Luisa Pec, un'intelligente bellezza del luogo che spicca tra le tante che stuzzicano i facili appetiti del vicequestore. Davanti al quale si aprono tre piste: la vendetta di mafia, i debiti, il delitto passionale. Quello di Schiavone è stato un trasferimento punitivo. È un poliziotto corrotto, ama la bella vita. Però ha talento. Mette un tassello dietro l'altro nell'enigma dell'inchiesta, collocandovi vite e caratteri delle persone come fossero frammenti di un puzzle. Non è un brav'uomo ma non si può non parteggiare per lui, forse per la sua vigorosa antipatia verso i luoghi comuni che ci circondano, forse perché è l'unico baluardo contro il male peggiore, la morte per mano omicida ("in natura la morte non ha colpe"), o forse per qualche altro motivo che chiude in fondo al cuore.








Basta così per questa settimana!

Giorgia

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