lunedì 11 febbraio 2013

Quartet e la seconda uscita con la Stampa


Buon giorno! Come avrete notato la scorsa settimana siamo stati un po’ assenti, nostro malgrado, a causa dei molti impegni.. 
Ci sono stati, però, dei cambiamenti di grafica e, forse questione più importante, abbiamo preso una decisione: utilizzare solo questo blog per tutto il nostro lavoro. 
Non chiuderemo l’altro sito, ma non lo aggiorneremo più.

Foto da MT
Comunque sia abbiamo un “avvenimento” da festeggiare (!): il primo articolo completamente redatto da Ginevra (sulla Traviata nella rubrica “Maratona Verdi 2013”).

Poi, dato che sono stata tirata in ballo - non erano a conoscenza che sono una pessima ballerina!! Credo..- mi conviene ballare, perciò, se qualcuno, avesse voglia in questo giorno di neve a Genova, di cimentarsi con fornelli e cucina vi rimando al sito di MenùTuristico ed in particolare a un post a me caro – per le mie origini – sugli alfajores, deliziosi dolcetti argentini. 

Tralasciando post passati, intemperie e cucina, eccoci alla seconda recensione per il II volume della collana edita da La Stampa per l’anniversario Verdiano – lo ripeto soprattutto peri nuovi arrivati!


Il secondo volume ha una buffa ed interessante introduzione di Sandro Cappelletto (di cui potete leggere la parte finale sull’approfondimento “Traviata – Maratona Verdi 2013”).  Successivamente ci viene, come al solito, data un’idea del momento storico, sociale e biografico. Sul fondo si trovano sempre gli estratti dei libretti che accompagnano le tracce del CD allegato. Come il vol. I , anche questo è di qualità e contiene brani tratti dalle varie opere (da Luisa Miller a Traviata) e nomi come Kraus, Cossotto, Scotto, Price, Raimondi, Poggi, Bastianini, Callas, Franke, Milanov e Di Stefano per i cantanti e Gavazzeni, Karajan, Cellini e Votto come direttori. Le incisioni sono degli anni '60 (in media).

Vi segnalo di Rigoletto (traccia7) “Bella figlia dell’amore” [Kraus, Cossotto, Bastianini, Scotto] perché proprio mercoledì ho avuto la possibilità – graditissima per giunta – di andare al cinema e vedere il film “Quartet” che non mi è per nulla dispiaciuto e che, anzi, vi consiglio. Divertente, triste, solitario, melancolico, delirante, spensierato, frizzante adatto a tutti o quasi.. con buona musica e una storia profonda, anche se senza troppe pretese.
Un bell’intermezzo musicale nella settimana. Vi alleggerisce il core!

A presto!
Non perdetevi Mercoledì la quarta edizione della nostra Rubrica su Verdi! Avremo….. Ernani!

Giorgia



Un angolo felice della campagna inglese ospita Beecham House, casa di riposo per musicisti e cantanti. Ogni anno, in occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, gli ospiti organizzano un gala e si esibiscono di fronte ad un pubblico pagante per sostenere Beecham e scongiurarne lo smantellamento. Ma ecco che la routine di Reggie, Wilf e Cissy viene sconvolta dall’arrivo a pensione di Jean Horton, elemento mancante e artista di punta del loro leggendario quartetto, nonché ex moglie di un Reggie ancora ferito.
Dustin Hoffman s’improvvisa regista animato da uno spirito appassionato ma anche da una sana dose di modestia e ottiene un risultato precisamente in linea, modesto con brio. Hoffman non ha un messaggio da lanciare al mondo né una proposta di regia che faccia in alcun modo la differenza, ma si limita ad assemblare un cast di grandi attori inglesi e a lasciare che suonino le loro corde su una partitura nota ma rodata, di quelle che si fanno ascoltare (e vedere) ogni volta anche se non è mai la prima né l’ultima.
La narrazione è esile e in alcuni punti a dir poco sbrigativa ma non sono poche le battute buone e non è da poco il contributo dei (veri) cantanti in scena. Adattando la pièce di Ronald Harwood, ambientandola in un cornice da Gosford Park, musicandola con le arie d’opera più belle, Hoffman dimostra soprattutto di aver saputo far affidamento sui materiali appropriati, affinché la costruzione finale suoni malinconica quanto basta, ma anche evanescente e in fondo un po’ infantile, com’è lo spirito degli anziani nella convivialità.
Bill Connelly è il più divertente della partita, Maggie Smith la nota più alta: per quanto contenuta – o forse proprio per questo - la sua performance si carica silenziosamente il peso di un confronto con il passato che va superato o non darà tregua, così come un errore d’amore, che può danneggiare una vita intera. O quasi. Appare invece sprecato Michael Gambon, che, a parte indossare pittoreschi caftani da regista in pantofole, è bloccato in un ruolo senza spessore e senza possibilità di movimento. Tom Courtenay, infine, nei panni di Reginald, incarna la sottile linea di confine su cui si posiziona il film stesso, tra l’aspirazione alla dignità e il richiamo della passione, tra il Rigoletto e il rap.
Pensato per un pubblico di amanti della musica e dei cioccolatini allo sherry più che del cinema con la maiuscola, Quartet vale comunque la visione della reunion di quattro attori senza età. - di 
Marianna Cappi 

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